Di persone sospettose ne è pieno il mondo, si sa. Di persone prevenute non ne parliamo nemmeno.
E le più maliziose hanno subito arricciato il naso rendendosi conto che la freschissima (ma nient’affatto inattesa) decisione dei vertici militari di togliere il coprifuoco in tutta Thailandia seguiva di pochi giorni l’apertura di danze di un evento che genera tanto denaro quanti sfrattati: i Mondiali di Calcio.
Bisogna ammettere che questo popolo di cinici qualche ragione dalla sua ce l’ha.
Le direttive iniziali, che sancivano il divieto di farsi trovare fuori dalle proprie abitazioni tra le 22.00 e le 5 del mattino, erano durate poco: il coprifuoco era prima stato alleggerito di due ore, poi sollevato del tutto dalle principali località turistiche. La giunta, che da meno di un mese si è autoposta alla guida del Paese, è sempre stata consapevole che spaventare il turismo era come dare avvio al suicidio assistito di un paese già penalizzato da lunghi mesi di scontri e fratricidi politici. E turismo, da qualche giorno, significa indubbiamente Mondiali di calcio, uno dei più grandi giri d’affari di portata planetaria. Con le 10 ore di differenza tra Brasile e Thailandia molte partite sarebbero cadute in piena zona d’ombra e mantenere il coprifuoco avrebbe indubbiamente significato l’ennesima, ingente perdita economica di ristoranti e bar che per l’occasione si trasformano in alticci e mangerecci stadi in miniatura.
Ma il cinismo rischia in questo caso di essere non solo un errore di approccio, diciamo così, esistenziale, ma anche di miopismo interpretativo, qualora sfugga la percezione del disegno più grande entro cui l’annullamento del coprifuoco va collocato: una grande opera di distrazione di massa che risponde al nome altisonante di “Bring Happiness Back To Thais”.
Il progetto, letteralmente “Riportare la felicità ai thai” è il fiore all’occhiello di questo 19esimo colpo di stato (1), che sta facendo di tutto per addolcirsi e venire ricordato nell’immaginario collettivo come l’unico “golpe-non golpe” della storia. Parole non mie, attenzione, ma del portavoce del National Council for Peace and Order.
L’idea, a suo modo geniale e destinata a creare un precedente difficilmente ignorabile, lascia a bocca aperta per la carica “innovativa” che porta con sé: una campagna di eventi gratuiti, leggeri e gogliardici per donare felicità al popolo thailandese. O meglio, per restituirgliela, dopo mesi di affanni, proteste e sangue che hanno profondamente spaccato il Paese in due fazioni apparentemente inconciliabili. Almeno fino a quando la giunta militare ha invertito la rotta, investendo ingenti risorse umane e finanziare per rabbonire i malcontenti internazionali e fare capire al proprio popolo che se si sono circondate le città di filo spinato e mitragliatrici è stato solo per il suo bene.
I consensi entusiasti non si sono fatti attendere. In fondo non capita tutti i giorni di vedere rock band di militari in tuta mimetica intonare “I will survive”, né zoo con balle di fieno e tepee allestiti là dove fino a pochi giorni prima si raduvano i dissidenti.
Qualcuno ha protestato che questo è solo fumo negli occhi, che non basta qualche manciata di pasti e tagli di capelli gratuiti (che pur hanno riscosso un clamoroso successo) per cambiare nome alle cose. Perché hai voglia a chiamarlo golpe-non golpe: se continui a zittire chi ti contesta, se censuri una proiezione pubblica di “1984” di Orwell, se decidi che chi inneggia alla pace con una semplice t-shirt vada spedito in carcere cosicché abbia modo di riflettere, puoi chiamarti come vuoi, infiocchettarti di belle parole, fare il bagno in mezzo a tutti gli ossimori di questo mondo, ma golpe sei e golpe rimani.
Eppure siamo costretti ad accettare l’evidenza che nessuna polemica può avere la meglio su chi ha talmente bisogno di scordare le tribolazioni degli ultimi mesi da essere disposto a ritrovare il sorriso in qualche ragazzina in minigonna di PVC che danza in proprio onore, o nella foto-ricordo scattata a fianco del soldato “così bello” nella sua tenuta di guerra e gli occhiali da sole. Sembra che ci sia persino un hashtag che inneggia all’ “hot soldier” thai.
Noi non confermiamo.
E se anche confermassimo, ci dissoceremmo.
(1) La Thailandia è un’habitué dei colpi di stato: 19, di cui 12 portati a termine con successo, dalla caduta della monarchia assoluta avvenuta nel 1932.