Arrivare in una città dopo seicento chilometri di niente fa sempre il suo effetto, specialmente se la città in questione risponde al nome di Coober Pedy, “kupa piti” – uomo bianco in un buco.
Leggenda dice che gli aborigeni battezzarono così quello strano avamposto che andò ammassandosi lungo le vie dei canti del deserto a partire dagli anni venti e che andò in gran parte a svilupparsi sottoterra per sfuggire alla morsa del caldo soffocante.
Coober Pedy trabocca di dugout – case sotterranee o scavate nella roccia – di chiese, librerie, negozi, ostelli, pub e persino un percorso da golf, tutto rigorosamente underground.
Per il caldo, certo, ma anche per sentirsi più vicini al cuore vitale della città, che è esattamente lì, sottoterra, dove germoglia apparentemente inesauribile l’opale, la pietra dai mille colori che tutti desiderano e tutti cercano.
E sono i tunnel rossi delle miniere, i rottami di autobus e auto e austronavi che punteggiano lo scenario, e l’aridità di una terra che riceve appena 175 mm di pioggia all’anno a conferire alla città un aspetto lunare malinconico e suggestivo.
C’è gente che ogni anno torna qui da ogni parte del mondo per fare fortuna o anche solo per riposare gli occhi dalla frenesia della città, per vedere l’alba seduto su quel che resta dell’auto di Mad Max III o per bersi una birra con la leggenda del luogo: Harry il cacciatore di coccodrilli.
Tredici anni passati nelle zone più remote del Northern Territory e del Queensland in questa attività – quantomeno bizzarra se la persona in questione è un barone lituano! – hanno lasciato il segno e la stramberia del personagio trapela da ogni centimetro della dugout.
Cartoline, foto, biancheria intima, candele, sculture e dipinti nella roccia, firme e messaggi in tutte le lingue, libri, cappelli, bicchieri colmi di vino.
Ovunque, in tutti i punti cardinali.
C’è persino una doccia che va a energia solare e ha i colori dell’arcobaleno.
Ma la cosa più dolce è la stanza della principessa scavata nella roccia, che non ha elettricità ma solo la luce delle candele, e ha la barbie sul cavallo bianco in un angolo e tende ricamate alla finestra.
Quando sono arrivata Harry non c’era e forse nemeno sa che ho dormito tra quelle lenzuola.
Ma a me piace pensare che ci sia nascosto da qualche parte un album, magari di velluto rosso, dove vengono registrati i nomi di tutte le principesse che Harry ha accolto nel suo rifugio durante questi anni.
E che magari un giorno anche il mio nome penderà da una parete assieme agli altri.