Che dio benedica l’Australia e la sua burocrazia!
Dovevo per forza farmi 20 ore di aereo e rovesciarmi a testa in giù per potere provare per la prima volta nella mia vita l’ebbrezza di possedere un’auto tutta mia…
In Italia avrei dovuto accendere mutui, implorare l’aiuto di parenti e amici, coprirmi il volto con un passamontagna e sperimentare il brivido di una rapina in banca.
E, ottenuti finalmente i soldi per un’auto di quindicesima mano, avrei dovuto ricorrere a tutta la mia celeberrima pazienza per accettare la sfilza di step burocratici che mi avrebbero finalmente resa padrona di una treruote (la quarta sarebbe stata sicuramente bucata).
Qui che succede invece. Che incontro Peter – tipico australiano dal capello lungo e la parlata incomprensibile – sua moglie che sembra avere 50 anni ma probabilmente ne ha solo un paio più di me (gli effetti del sole australiano possono davvero essere devastanti) e soprattutto il loro meravilgioso Mazda van dell’85 che mi folgora per il rosso acceso e il prezzo di vendita: 1500
aud, qcosa di molto, molto vicino a 800 euro!
Oddio – mi dico – con questo prezzo il motore sarà andato, i finestrini cementati, non ci sarà il volante e il freno magari non l’hanno messo per risparmiare!
E invece il check del meccanico mi dice che è tutto ok, che questa è l’Australia e anche il più pezzente dei viaggiatori può permettersi una macchina, e mi dice di più, che questo è un van che mi farà da casa e mi scorazzerà con un filo di gas lungo i torridi paesaggi del deserto e ancora oltre, oltre il deserto, fino a nord e ovunque io decida di andare, e soprattutto (questo lo aggiungo io) che mi consentirà di fare incetta di tutte le stelle del cielo perché il mio van, signori, ha il tetto che si apre!
Gioiosa come una bambina firmo il contratto di proprietà, che consiste in una pagina di quaderno strappata con il nome dell’ex proprietario e quello del nuovo, data dell’atto, costo dell’operazione.
Stop.Un contratto non redatto in carta bollata, capite, ma in un banalissimo pezzo di carta frastagliato ai bordi. Quasi mi commuovo. Anzi, senza quasi.
Non resta che la registrazione e per questo si decide di partire subito per Adelaide perché a detta di tutti, dopo la Tasmania, è il posto più cheap per farla.
Lascio Nyah e il mio meraviglioso motel della perdizione con un permesso appiccicato al finestrino che mi consente di guidare one way dal Victoria al South Australia.
Dopo avere attraversato per centinaia di chilometri quei paesaggi che presto diventeranno familiari, dove non c’è nulla nulla nulla che non sia rosso e non sia arido, arriviamo ad Adelaide appena in tempo per vedere le saracinesche degli uffici della registration abbassarsi, ed è un vero peccato perché w-e e Anzac day prolungheranno l’agonia di qualche giorno.
Ma da quel momento è un attimo: 2 fogli da compilare, check del van molto easy (il parabrezza che in Victoria sembrava dovessimo cambiare pena la morte qua risulta in perfetto stato), pagamento cash di 400 dollari per sei mesi di registrazione, due bellissime targhe “SA the festival state” con cui impreziosire il nostro van e il gioco è fatto.
Fossi stata nel mio adorato Paese d’origine starei ancora a tradurre l’incomprensibile gergo burocratico dietro cui il governo si trincera come in un bozzolo nell’illusorio tentativo di conservare se stesso e la legittimazione del proprio ruolo.