Ce lo insegnano fin da piccoli che il tempo non esiste, che è stato creato dall’uomo per dare forma, stabilità e sicurezza al caos della vita. Che come lo spazio è poco più di una parola e che come è stato plasmato può essere spazzato via in un secondo.
Ce lo insegnano fin da piccoli ma lo impariamo soltanto da adulti.
Ho sempre sentito dire che la percezione del tempo varia con il variare dell’umore, con la positività o la negatività del momento. Quando stai bene il tempo è impietoso, velocissimo; quando stai male rallenta il ritmo in maniera angosciante fin quasi a fermarsi. Da quando sono qui mi sono resa conto che la cosa è, se possibile, ancora più complessa.
Può capitare ad esempio che durante uno stato d’animo particolarmente positivo si avverta sì l’immediatezza del tempo, il suo saltare da un istante all’altro senza continuità, senza che sia data la possibilità di gustare pienamente ogni momento perché quello successivo attira già la nostra attenzione e la risucchia in un battito di ciglia. Ma può anche capitare che la sensazione di pienezza, di calma contemplativa e di equilibrio che solo uno stato d’animo di felicità può dare diventi così
ampia e prolungata, velocissimamente prolungata, che inglobi il tempo ribaltandolo, rendendolo lento e continuativo, un tempo in grado di allungarsi come un elastico trasformando le settimane in mesi, i giorni in anni, gli istanti in un’eternità. Allora succede che qsto tempo che ti trovi a vivere sia qualcosa di cangiante, camaleontico sdoppiamento nei due estremi – lentoveloce, eternoimmediato – nient’affatto facile da gestire.
Scopri che hai fatto più cose in questo mese e mezzo che nei dieci più prolifici della tua vita, hai avuto più esperienze, incontrato più persone, provato più sensazioni, vissuto di più.
E così ti chiedi che senso abbia dare un nome a un concetto così complesso come il trascorrere del tempo. Che senso ha parlare di un mese quando lo stesso mese può significare 1000 cose diverse in 1000 menti diverse?
Il mio mese non è lo stesso di chi per trenta giorni filati si è presentato in ufficio alle 9 per uscirne alle 17.
Non è il mese di Frank, il 29enne di 40 anni che per non abbandonare i genitori rinuncia ogni giorno a un pezzo di sé piantando e raccogliendo uva e bevendo la sera davanti a un film visto e stravisto per anni.
Non è il mese di mia madre, che mi sente lontana come non mai e non sa come fare a dirmelo.
E non é nemmeno il mese di CC, che ha un vuoto incolmabile dentro e conta i secondi che ogni giorno un po’ di più l’allontanano dal suo sogno perduto.
E non è il mese di questi due ragazzini che si stanno sussurrando segreti e sguardi dal prato di fronte – sono due statue, sono rapiti, in questo istante perduti per sempre nel sogno di avere davanti a sé un essere simile e riconoscibile, perfettamente combaciabile col proprio corpo e la propria mente, un miracolo di magia e sintonia che fa di un minuto un tempo lunghissimo, di un mese un’intera esistenza.