Ero già stata qui, esattamente un anno fa. Una scivolata di qualche giorno appena che non mi aveva lasciato il tempo di entrare sottopelle a questa minuscola isola sospesa sullo Ionio, girarmela in lungo in largo, respirarmela a pieni polmoni. E lasciamo stare che c’è chi in pochi giorni riesce a farsi il giro di un intero Paese – io sono un essere lento, una viaggiatrice-lumaca, un bradipo col trolley che si allunga lentamente sulla superficie del mondo facendo affidamento sull’eternità. Io ho bisogno di tempo per gustarmi le cose, se poi mi si distrae con granite e torroncini Condorelli è una battaglia persa in partenza.
C’era, così, un intrico di vie che ancora mi sfuggiva, decine di chiesette infrattate in piazzette grandi come francobolli che mi attendevano all’alba, c’erano musei, gallerie da scoprire, cespugli di papiri da ammirare, leggende da sentir narrare. E ristoranti, poi, così tanti ristoranti con i tavolini in bilico sui sanpietrini che si sarebbero offesi a morte se non fossi tornata e fiochi lumi di candela nati apposta, così almeno sembrava, per sorseggiare generosi calici di Nero d’Avola al calar della notte.
Un’isola appesa da un ponte alla Siracusa moderna, un chilometro quadrato appena di vie bianche e asimmetriche che si aprono su dettagli di barocco, rococò, rinascimento e ricordi di tempi in cui nessuno era ancora costretto a farsi appendere a una croce per salvare il culo a noi peccatori.
Il cuore vero di Siracusa, la sua parte più antica.
Ortigia.
Tutti i sensi di Ortigia
Tempo un anno, quindi, ed eccomi di nuovo qui. Questa volta poso il trolley tre settimane.
Torno a commuovermi davanti a Caravaggio, torno a mangiare pane cunzato alla Putia, torno a vedere sguazzare le paperelle tra gli esili steli del papiro nell’acqua che un tempo fu donna in fuga d’amore1.
Ma stavolta faccio di più: mi arrampico fino al teatro greco per vedere le tragedie di Elettra, mangio cous cous di timilia2, mi siedo da Irma a sorseggiare caffé nella luce abbacinante di metà mattina. Inforco la bici (e la disarciono, chiaramente, dopo pochi secondi spiaccicandomi sull’asfalto – ma questa è un’altra storia) per inseguire il corso del fiume Ciane, corro sul lungomare, faccio la spesa al mercato antico la domenica mattina. Frequento il primo coworking della mia vita.
Sperimento per la seconda volta la Sicilia da nomade digitale (la prima in modo puro2) e penso – ehi nomadi là fuori, tutti stipati al Camp e a Hubud3, ma la Sicilia l’avete mai presa in considerazione?
In cuor mio vi dico: non sapete cosa vi perdete. Perché…
… a Ortigia i ragazzi del coworking ti accolgono con un cannolo e la moka sul fuoco.
… a Ortigia si può dire “Esco per una corsa, faccio il giro dell’isola e poi torno”.
… a Ortigia non fai un passo senza inciampare in un pezzo di storia.
… a Ortigia c’è la carbonara vegana del Moon.
… a Ortigia c’è Andrea che al Caseificio Borderi crea cattedrali di carboidrati e colesterolo.
… a Ortigia c’è un Caravaggio che pende dalla parete di una chiesa (Seppellimento di Santa Lucia) e una statua della Madonna che si arrampica su un muro.
… a Ortigia è tutto bianco e blu.
… Ortigia è un inno ai sensi.
La storia
Il glorioso Tempio di Apollo, VI secolo A.C., è stato nel corso del tempo tempio dorico, chiesa bizantina, moschea e caserma spagnola. Restituito alla luce del sole nella prima metà del ‘900, accoglie i turisti all’imbocco di Ortigia.
Il Teatro greco di Siracusa domina la città dall’alto del colle Temenite, all’interno del Parco archeologico della Neapolis. Da 2500 anni si offre come palcoscenico di impareggiabile suggestione per la rappresentazione delle tragedie greche. Qui sopra Elettra, di Sofocle.
Tradizione vuole che fosse Caravaggio a chiamare Orecchio di Dionisio questa spettacolare grotta artificiale posta sotto il Teatro greco. Si narra che all’interno di essa Dionisio, il tiranno siracusano, rinchiudesse i suoi nemici e ne origliasse i discorsi sfruttando l’acustica perfetta del luogo.
Il mare
Il perimetro di Ortigia è di appena 3,40 chilometri e percorrerlo tutto senza perdere un solo secondo di vista il mare è un’esperienza che riconcilia con la vita.
L’intrico di vie di Ortigia, strettissime e irregolari per proteggersi dal vento, si apre improvviso sull’azzurro smeraldo del Mar Ionio.
Vacanzieri attraccati in prossimità della punta meridionale di Ortigia, vicino a Castello Maniace.
L’arte
Nascosta dai fichi d’india e i tendoni di una pasticceria di Piazza del Duomo, fa capolino la Chiesa di Santa Lucia alla Badia, tra le cui mura si stringe come un segreto uno dei gioielli di Caravaggio, il Seppellimento di Santa Lucia, dipinto dal Merisi a Siracusa nel 1608 dopo la fuga da Malta.
La Fontana di Diana, in piazza Archimede, appartiene alla storia recente di Ortigia. Costruita agli inizi del secolo scorso, mostra tra gli altri Aretusa, la dea che per sfuggire all’amore opprimente di Alfeo si fece acqua.
Il bianco latteo che fa risplendere Ortigia è tutta colpa della pietra arenaria – la “pietra giuggulena”, come la chiamano qui. Se volete provare la sensazione di passeggiare in mezzo al borotalco fate un salto in Piazza del Duomo nella luce abbacinante di mezzogiorno.
“Prendete un tempio greco, incorporatelo per intero in un edificio cristiano, al quale aggiungete successivamente una facciata normanna che viene abbattuta dal grande terremoto del 1693. Senza scoraggiarvi vi rimettete all’opera e, cambiando completamente direzione, sostituite la vecchia facciata con una deliziosa composizione barocca all’incirca del 1728‑54. E il tutto, deteriorato com’è, continua a vivere e a sorridere, diffondendo nel mondo la sua immagine come se fosse stato ideato da un Leonardo o da un Michelangelo.” Così lo scrittore britannico Lawrence Durrell descrive il Duomo di Siracusa, prodigioso esempio di come barocco e rococò sappiano abbracciare un tempio dorico esaltandolo a nuova bellezza.
La creatività
Arte non è solo storia, è anche creatività. Gallerie di giovani artisti, negozi di oggettistica stramba, ritagli di design appesi alle pareti, nescosti nei viottoli, pendenti da balconi e balaustre: ogni bar, ristorante, negozio, angoli di privati partecipa a una tacita gara che punta alla bellezza più bella: quella “inutile”, quella fine a se stessa.
Cosa venda esattamente questo negozio e a cosa concretamente possa servire è affare a tratti nebuloso, ma poco importa, a conti fatti, se quel che ti è concesso è ammirare un piccolo cortile di Ortigia trasformato in un quadro surrealista da toccare con mano.
“Dal letame nascono i fior” sussurrava De André. Qualcuno a Ortigia ha ascoltato il poeta e ha trasformato i vecchi sanitari in fioriere traboccanti di piante grasse.
Lifestyle
Mettere piede a Ortigia è ad alto pericolo di innamoramento – il mare, la lentezza, gli stimoli sensoriali – il rischio è quello di non andarsene più. Un piccolo negozio intrerpreta la tentazione comune a tanti vacanzieri: e se mollassi tutto e mi trasferissi a Ortigia?
Visitare Ortigia e andarsene senza avere fatto la fila davanti al Caseificio Borderi è un peccato capitale. Quel signore vestito di rosa che fa capolino nel mercato del pesce tra ricotte, provole e pecorini si chiama Andrea e per 5 euro costruisce cattedrali di pane imbottito di ogni ben di Dio. L’attesa sotto il sole può essere impietosa ma è alleggerita da assaggi di mozzarella affumicata e largamente compensata dal momento di estasi in cui il dente sprofonda nel panino.
A Ortigia si mangia per strada. Il problema è dove, vista la densità da guinness dei primati di ristoranti, pasticcerie, wine bar, tavole calde che affollano di minuscoli tavolini la piccola isola. Il clima piacevole che bacia Ortigia per molti mesi l’anno, un calice di Nero d’Avola che aiuta a far salire la temperatura corporea, gli artisti di strada che improvvisano concerti agli angoli delle vie fanno del mangiare fuori più che un’abitudine uno stile di vita.
Il cibo
Non ho messo il cibo al primo posto di questa carrellata sensoriale di Ortigia solo per senso del pudore, perché verità è che Siracusa, come tutta la Sicilia del resto, significa prima di ogni cosa “cibo”. Sedersi al tavolino di una pasticceria a osservare il passeggio mentre una cassatella rilascia i suoi effluvi zuccherosi dentro il palato è uno di quei privilegi che ogni essere umano che aspira alla felicità dovrebbe concedersi senza ritegno.
La “scarpetta” è spesso e volentieri vista negli ambienti raffinati come una caduta di stile da evitare accuratamente, retaggio del poveraccio che non riesce a permettersi un pasto decente ed è costretto a risicare anche il minimo residuo cibario nel piatto. Ecco, scordatevi tutto questo: a Ortigia, come ricorda questo cartello di fronte all’ottima Osteria La Casa di Carlo, la scarpetta non solo è concessa, ma è obbligatoria!
La bandiera italiana secondo il Caseificio Borderi: cicoria, pomodorini secchi, pecorino al pepe e ai semi di finocchio.
Quando il caldo si fa audace, diventa obbligatoria una puntata ai chioschetti di Piazza Emanuele Pancasi, di fronte al ponte che collega Ortigia a Siracusa. Sedeveti al tavolino e sentitevi un vero siciliano ordinando un seltz limone e sale: vi rimetterà al mondo.
La tradizione
La Fonte Aretusa è uno dei simboli più celebri di Siracusa. Cantata da secoli da poeti di tutti il mondo e sede di una tra le leggende più affascinanti di terra sicula, racchiude da millenni l’unico papireto selvatico di Europa, fatta eccezione per quello del fiume Ciane, sempre a Siracusa.
L’antica arte teatrale siciliana rivive oggi nel minuscolo Teatro dei Pupi di via della Giudecca. Il teatro vale una visita di per sé, per la sua atmosfera raccolta, i drappi rossi, la volta di pietra arenaria che torreggia sul palcoscenico.
Il carretto che staziona all’angolo tra Viale Matteotti e il Teatro di Apollo con i suoi sacchi pieni di frutta secca è parte del paesaggio ortigiano da decenni. Mandorle, pistacchi, ceci e lupini sono venduti in pianta stabile da due dolci e caratteristici pezzi di antiquariato.
Il futuro
Se Ortigia culla la sua tradizione con la stessa dedizione che una mamma dedica al proprio neonato, spalanca al contempo le porte al futuro. Che in ambito lavorativo significa rete, incubatoio, start-up, coworking. L’Impact Hub di Siracusa si trova in pieno centro storico, in un bellissimo palazzo restaurato di via Mirabella.
Tra gli spazi a disposizione degli iscritti dell’Impact Hub ci sono un’area conferenze, due sale riunioni, un’area di coworking e progettazione, un cortile di 150 metri quadri e una cucina comunitaria professionale.
Laboratorio di innovazione. Incubatoio. Comunità di imprese sociali. Comunque vogliate definirlo, l’Impact Hub è una rete di spazi collettivi e creativi che conta la bellezza di 81 esemplari in tutto il mondo (8 solo in Italia). Qui nascono progetti, si organizzano corsi di formazione, ci si dà da fare per per creare un mondo migliore. L’accesso al coworking di Ortigia costa appena 20 euro al mese.
- Leggenda narra che Aretusa, ninfa di Artemide, fu trasformata da quest’ultima in fonte per poter sfuggire ad Alfeo, perdutamente innamorato di lei. Ma si sa, al cuor non si comanda: Alfeo chiese aiuto agli dei che lo trasformarono in fiume, permettendogli così di ricongiungersi con l’amata.
- Grano antico siciliano.
- Camp e Hubud sono due coworking molto in voga tra i nomadi digitali. Il primo si trova a Chiang Mai (Thailandia), il secondo a Ubud (Bali).
- La prima volta fu esattamente un anno fa, quando per far fronte a un periodo lavorativo difficile integrai il mio lavoro di nomade digitale con Helpx. In questo articolo racconto la mia esperienza.
IO CI SONO STA L’ANNO SCORSO E ME NE SONO LETTERALMENTE INNAMORA!
eh mi sa che siamo in tanti! 🙂