La voce girava già da un po’, ancora prima che venisse dichiarato il colpo di stato. Era appena stata promulgata la legge marziale che i più sospettosi (profetici, direbbe qualcuno) insinuavano il dubbio: “Vedrete che adesso chiuderanno Facebook”. Ma no, ma va là, ma figurati.
Ultimamente ho come l’impressione che la legge di attrazione sia qualcosa di più di un semplice giochetto new-age, per lo meno qui in terra asiatica, perchè ogni volta che qualcosa si prospetta all’orizzonte thai, poi si realizza davvero.
Per fortuna stavolta è andata così solo a metà. Almeno per il momento.
Ieri pomeriggio è avvenuta in terra Siam la seconda tragedia nel giro di pochi giorni. Non bastava la chiusura precoce dei 7-Eleven, con tutte le inquietanti implicazioni sociali che questo comporta e a cui devo avere già accennato in precedenza: ieri ci è toccato assistere anche all’oscuramento di Facebook.
Ma dico, siamo impazziti? La Thailandia come la Cina, l’Iran, il Nord Corea?
Senza più potere scorazzare tra gli scaffali dell’icona thai per eccellenza in cerca di refrigerio (tanto un rotolo di carta igienica serve sempre), né potere pigiare invio per condividere le foto del proprio pranzo vegano, si crea un surplus di tempo che può realmente gettare nel panico una popolazione, qualora non venga arginato in fretta.
Per fortuna così è stato. “Solo” mezzora di prove tecniche di censura. Per ordine, dice l’Information and Communication Technology (ICT) permanent secretary, dell’NCPO (National Council for Peace and Order); ordini dall’alto, quindi, subito però categoricamente smentiti. “Non ne abbiamo bisogno” sostengono ora le Forze Armate, ma vero è che a Facebook è stato chiesto di “collaborare” per fermare le proteste anti colpo di stato, richiesta che a quanto pare oggi verrà estesa anche ad altri social network, tra cui Twitter e Istangram.
Ora, io ci scherzo sopra, incoraggiata dal pensiero che l’oscuramento di FB possa divenire anche un modo carino e inatteso per riappropriarsi di pezzettini di sé che troppo spesso diamo in pasto, con eccessi di leggerezza, alla scarsa attenzione altrui. Ma qui si pone un problema grosso, che non può essere ignorato.
Facebook è il più diffuso social network del Pianeta e solo in Thailandia si contano ben 30 milioni di account, a quanto riporta il Bangkok Post. E sebbene la sua specializzazione tenda spesso a restare confinata entro i confini poco entusiasmanti di foto di gattini e aggiornamenti di status che risultano noiosi anche da statici, resta comunque per chi lo sa usare un mezzo di diffusione di massa di notizie e condivisioni. Oscurarlo, anche solo per mezzora, non è un gioco che può essere fatto con leggerezza. Perché è su questo tipo di cose che si risveglia il malcontento delle masse e si convoglia l’attenzione internazionale.
Pensare di potere silenziare in questo modo i malumori, non so se giustificati ma sicuramente inevitabili, a un regime militare è impensabile. Perché esistono Twitter, Tumblr, Youtube, Google plus. Ci sono, grazie a dio, ancora le macchine fotografiche, le mail, i telefonini. Ci sono, soprattutto, applicazioni come Hootsuite che conoscono i trucchi per aggirare la censura. Ci sono giornalisti coraggiosi che raccontano la loro verità al mondo, quando non vengono arrestati. C’è un intero mondo in continua evoluzione che non può essere arginato.
Non spetta a me entrare nel merito della questione, troppe informazioni mi difettano e troppe sfumature sono invisibili a occhi che osservano questo paese da pochi mesi soltanto, ma leggo gli articoli, parlo con i gestori di piccole attività, vedo le strade, gli alberghi, i ristoranti vuoti. Questo colpo di stato è un colpo ALLO stato, nel senso più letterale del termine, nel senso più profondo e autolesionista, perché a subirne gli effetti più immediati e disastrosi è il turismo, e non possono dimenticarsi del fatto che è da qui che arriva una delle principali entrate economiche del Paese.
Voi vedete incitamenti alla protesta. Noi, da fuori, noi farang, vediamo dubbi, critiche, rabbia in certi casi. Legittima, in certi casi.
Voi dite “arginare le polemiche”, “smettere di diffondere le critiche”, “proteggere la sicurezza nazionale”.
Noi diciamo censura.