A onor del vero bisogna ammettere che come ogni leggenda si basa su un fondo di verità, anche in questo caso le maldicenze battono la lingua sul tamburo perché qualche ingenuità, qualche carenza, qualche stranezza c’è davvero, complice una cultura distante anni luce dalla nostra e un governo che da sempre preferisce sacrificare un po’ di pensiero critico per assicurarsi un pizzico di obbedienza in più.
Ma la verosomiglianza fa presto a divenire esagerazione quando affidata a intenti denigratori ed ecco che in un batter d’occhio la lacuna si fa voragine, il difetto diventa delitto, la differenza culturale degenera in peccato originale. Mettendo in secondo piano tutto il resto.
Eppure questo popolo vanta alcune caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono dal resto del mondo, e che troppo spesso vengono taciute. Sfumature uniche, dettagli incomparabili, virtù d’altri tempi e d’altri mondi, che in questi mesi si sono evoluti di fronte ai miei occhi assumendo sempre più le fattezze di veri e propri poteri soprannaturali. Poteri da supereroi.
Con questo post intendo perciò restituire grandezza a un popolo troppo abituato a essere sminuito dalla faciloneria del giudizio altrui e cantarne le lodi a chi ancora non lo conosce.
Ecco che cosa ha un thai che noi non abbiamo.
# Il thailandese non suda
Mentre tu senti il corpo liquefarsi in zone di cui avevi persino dimenticato l’esistenza,la sua fronte non si imperla nemmeno di una goccia.
Mentre tu sogni che inventino finalmente qualcosa di più sottile e rinfrescante di short e canottierine, loro si mostrano senza pudore rivestiti di felpe e giubbotti. C’è chi giura persino di avere visto qualcuno sfoggiare un finto pellicciotto con la stessa disinvoltura con cui l’amico farang si godeva gioioso il fresco venticello della sera.
Va da sé che il thailandese nemmeno puzza. Non ho mai sentito un abitante della Terra dei Sorrisi odorare anche solo vagamente di sudore, nemmeno a fine giornata, nemmeno dopo essere stato a martellare sull’asfalto rovente tutto il santo giorno. Ieri ero sull’autobus che da Mae Sai mi riportava a Chiang Mai e durante l’ennesimo blocco della polizia, un agente delle forze dell’ordine, salito per controllare che tra noi non ci fossero birmani clandestini e spacciatori di droga, ha appoggiato un braccio sul portabagli, esattamente sopra di me. Indossava una di quelle divise di cotone spesso, una pettorina di nylon e un cappello dalla lunga visiera. Me lo immaginavo al servizio da ore, sotto i 40 gradi di questa tenera stagione monsonica thailandese. Mentre mi sporgevo leggermente verso la sua ascella, mi sono detta: va là che stavolta ti frego.
Niente: fresco come una rosa.
# Il thailandese riesce a impilare sul motorino una quantità di cose e persone inimmaginabile
Chiunque sia stato almeno una volta in Thailandia avrà visto una di quelle scene surreali in cui a un certo punto compare come un miraggio un motorino che sfreccia con un’intera famiglia abbarbiccata sopra (naturalmente tutti senza casco), animali domestici compresi. O che porta impilata una piramide irreale di assi di legno, oggetti, intere mobilie. O entrambe le cose assieme. Sono la norma, sono ovunque.
Tu li guardi e pensi: ora crolla tutto. O almeno perde per la strada un cestino, una sedia, un cane. E invece il motorino thai continua imperterrito a procedere in un gioco di equilibri impossibili e delicatissimi, sfuggendo a ogni legge della fisica conosciuta e anche di quella solo vagamente ipotizzabile.
# Il thailandese non ha la più pallida idea di dove tu debba andare ma alla fine ti ci porta sempre
Se ci si allontana un po’ dai luoghi più frequentati dai turisti, dove l’inglese si trasforma da necessità in orpello nient’affatto scontato, è facile imbattersi prima o poi nella seguente scena.
Fermi con una mano il taxi e dici la tua destinazione. Il tassista ti guarda spaesato, tu ripeti il nome del luogo più lentamente, consapevole che la tua pronuncia è un po’ un disastro. Lui ripete il nome con aria sconfortata, come a dire “Ma perché dovevi fermare proprio me, con tutti i taxi che ci sono qui a Chiang Mai”.
Allora tu hai un guizzo di genio: prendi la cartina e gliela spieghi sotto gli occhi, indicando dove siete in quel momento e dove vuoi andare. Alla fine lui dice “Ok, ok” e tu sei talmente estenuato dalle difficoltà comunicative, o semplicemente troppo in ritardo per il tuo appuntamento, che fingi di ignorare la pagliuzza di vacuità nel suo sguardo e sali a bordo. Fai, cioè, come fai sempre da quando sei in Thailandia: anziché affidarti al tassista per raggiungere la tua destinazione ti affidi alla provvidenza.
Poi durante il tragitto accade qualcosa tra il miracoloso e il trascendente. Non ho mai capito se il semplice guidare porti a una sorta di improvvisa illuminazione, o se il vetro scuro impedisca di vedere che il tassista telefona a qualcuno di sua fiducia per risolvere l’arcano. Non l’ho mai capito e non voglio nemmeno saperlo. Fatto sta che sempre, e dico sempre, arrivo a destinazione.
# Il thailandese riesce a mangiare il khao soi senza sporcarsi
# Il thailandese ha uno scudo invisibile che lo protegge dalle scariche elettriche
Ricordo che quando stavo a Ko Phangan vivevo ogni volta come un’avventura dagli esiti incerti percorrere la breve strada che dal mio bungalow conduceva alla spiaggia di Chaloklum. Il trucco era guardare in basso, soprattutto quando pioveva, ignorando i rumori di sfrigolamento che provenivano da sopra la testa, e proseguire verso la mia destinazione senza farmi troppe domande. Alzare gli occhi avrebbe significato ammettere che se ero ancora viva, se tutti noi lo eravamo, era semplicemente in virtù di una fortuna sfacciata.
I grovigli di cavi che solcano i cieli thailandesi ad altezza uomo, nei villaggi come nelle città ipermoderne degli skyrtrain e dei centri commerciali, sono uno di quei fenomeni affascinanti che suscitano dibattiti e interrogativi: perché tutto non si è già trasformato da tempo in un un unico, inestinguibile rogo? Perché i giornali non sono pieni di notizie di persone fulminate e trasformate in torce umane?
Interrogativi destinati a rimanere irrisolti, a meno che non si postuli come unica risposta plausibile quella anticipata nel titolo stesso del post.
Guido Mura
Nemmeno i veri milanesi sudano: l'ho scoperto quando ho pensato di venire a vivere a Milano. I funzionari giravano in giacca e cravatta anche con 40 gradi e le vere signore indossavano calze o collant con le stesse temperature, in pieno agosto, senza svenire. Misteri del DNA!
kikkolen
ahah vedi abbiamo anche noi i nostri supereroi casalinghi!
Come sempre Darwin docet: solo chi riesce a indossare giacca, cravatta e calze d'estate (!) è in grado di sopravvivere a Milano 😉