Passo davanti al Kamala Beach Resort ogni mattina durante la breve camminata che faccio per fingermi attiva, quando in realtà tutto quello che desidero è la ricompensa finale: un bagno veloce tra le onde dell’oceano prima di tornare a casa.
A vederlo così, solido e immacolato a margine del sentierino sopraelevato che costeggia la stretta lingua di spiaggia, fatichi a immaginarlo violato da onde alte decine di metri che trascinano tavoli, oggetti personali ed esseri umani senza apparenti preferenze (1).
Lo tsunami che domenica 26 dicembre 2004 devastò gran parte del sud-est asiatico lasciando dietro di sé un lutto di dimensioni bibliche (2) non fece vittime in questo resort, ma “solo” enormi danni economici. 80 milioni di bath (poco meno di 2 milioni di euro) non sono noccioline, eppure pochi mesi dopo il Kamala Beach Resort era di nuovo tirato a lucido e in grado di soddisfare i vizi dei più esigenti turisti in cerca di mare e leggerezza.
Lo tsunami del 2004 è considerato uno delle maggiori catastrofi naturali dell’epoca moderna. Il terremoto che lo causò e che ebbe il suo epicentro al largo dell’isola di Sumatra, Indonesia, compare al terzo posto nella lista dei terremoti più forti di sempre (3) e al primo in quanto a durata (ben 8 minuti). Un terremoto capace di spostare un’isola di 30 metri, di generare un’energia pari a quella necessaria per bollire 10.000 litri di acqua per ogni persona presente sulla Terra e onde anomale in grado di allungarsi fino a 4000 chilometri di distanza, non può che diventare uno di quegli eventi spartiacque che caratterizzano la vita di una persona, come la caduta delle Torri Gemelli.
Di questa immane tragedia la costa occidentale della Thailandia fu una delle vittime più colpite, specialmente le province di Phuket, Khao Lak, Phi Phi Islands e Krabi. “Grazie” alla sua conformazione e alla sua apertura esattamente “in bocca” alla direzione del maremoto, Kamala fu la spiaggia che riportò più danni di tutta l’isola di Phuket.
Ufficialmente morirono 66 persone tra locali e turisti, una cifra che riesce quasi a sembrare contenuta di fronte al fatto che tutta la zona tra la la spiaggia e la strada principale che taglia in due il paesotto musulmano fu quasi rasa al suolo. La maggior parte delle vittime morì in spiaggia, dove il mare si era ritirato di diverse centinaia di metri lasciando in regalo enormi quantità di pesci a dibattersi sulla sabbia, pronti per essere catturati.
Bastarono 15 minuti per trasformare un’apparente dono dal cielo in un’immane sciagura proveniente dal mare, un tempo che sarebbe stato più che sufficiente per salire verso la collina e mettersi al riparo dall’arrivo dell’onda.
Ma nessuno avvertì nessuno. Nessuna sirena suonò, nessun allarme raggiunse cellulari e televisioni, nessun altoparlante segnalò il pericolo imminente.
Qualche mese dopo Kamala era ripulita e di nuovo in grado di svolgere il proprio ruolo di località turistica. Se c’è una cosa in cui i thailandesi sono abili è l’arte di rimboccarsi le maniche e di ridurre al minimo il tempo speso a piangere i morti. I morti sono morti e il passato è passato.
E anche se questo pragmatismo buddista è di certo una benedizione per un paese che deve ricostruirsi da capo, agli occhi di una occidentale abituata a una cultura che erge la morte a macigno pesante e accentratore finisce inevitabilmente per sembrare un segno di cinismo. La vita va avanti, ma i morti vanno pianti per poterli lasciare andare.
Chi dice però che Kamala abbia chiuso tutte le sue cicatrici e non porti i segni di questa immensa tragedia non dice del tutto il vero. L’albero piantato nel giardino del tempio sulla spiaggia è un omaggio alle ferite dello tsunami, come lo sono la targa commemorativa posta davanti al Kamala Beach Resort e il “cuore dell’universo” celebrato dall’imponente Tsunami Memorial di Kamala, il suggestivo e aggrovigliato monumento eretto in memoria di tutte le vittime.
Ma il vero segnale che quella mattina di dieci anni fa non è mai stata dimenticata è il piccolo lago recintato dove si troverebbero i cadaveri di altri sfortunati a cui né nome né memoria sono concessi. I sopravvissuti se ne tengono lontani, perché lì riposano gli spiriti.
I morti, dicevamo, sono morti, e dove sono là devono essere lasciati.
(1) Il video che trovate a questo indirizzo è uno dei più famosi sullo tsunami e venne registrato da uno dei clienti del Kamala Beach Resort: http://www.youtube.com/watch?v=6jixyBvjJZQ
(2) I morti accertati sono 226.000, ma contando le migliaia di persone ancora disperse alcune fonti parlano di 400.000.
(3) http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_terremoti