Se c’è una cosa che l’Australia è in grado di ridimensionare è il senso della distanza.
Questo è il Paese dove i dottori volano (1), i bambini imparano a fare i conti via radio (2) e cartelli premurosi consigliano di fare benzina perché la prossima occasione capiterà dopo centinaia di chilometri!
Succede così che 500 km, quelli che separano Alice Springs da Ayers Rock diventino una sciocchezza, una distanza da gita domenicale…
Ci siamo già state qui, quasi due mesi fa quando, partite da Adelaide, saggiavamo per la prima volta la Stuart Highway, la lunga strada che conduce a nord.
Cambia la direzione ma la strada è la stessa, diritta e monotona come allora, lo stesso paesaggio puntellato di spinifex e di sentieri che tagliano le dune di sabbia per dirigersi chissà dove.La luce è violentissima e probabilmente gioca brutti scherzi perché quello che vedo sembra partorito direttamente dal pennello di Magritte: copertoni abbandonati, sportelli di auto infilzati nella sabbia come totem, cancelli senza recinzioni a sorreggerli spalancati sul niente.
Ma che i canguri morti sono veri lo capisci subito, perché una delle prime cose che impari dell’outback australiano è che i canguri sanno innamorarsi perdutamente dei fanali delle auto e li rincorrono ipnotizzati, andando a morire sotto le ruote di chi ancora si ostina a guidare dopo il tramonto.
La vista delle carcasse ai lati della strada è angosciante e quella del volo delle aquile audaci, che eleganti si sollevano dai corpi per librarsi in cielo, bellissima.
Passiamo Erldunda, una minuscola stazione di servizio che vanta l’unico esemplare al mondo di dingo canterino, e imbocchiamo la Lasseter Highway, la strada che conduce ad Ayers Rock e che deve il nome a Lewis Hubert Lasseter, un pazzoide che spese gli anni migliori della sua vita alla ricerca di un fantomatico filone d’oro disperso da qualche parte nell’allora pressoché inaccessibile Australia centrale.
Velenosa come sempre, la Lonely Planet non manca di farmi notare che il pazzoide alla fine riuscì a trovarlo l’oro, e malgrado questo riuscì ugualmente a morire di fame…
Appagata dalla notizia allungo le gambe sul sedile e mi abbandono al paesaggio, o forse è più corretto dire che mi addormento, perché mi ritrovo senza accorgermene davanti ai cancelli dell’Uluru-Kata Tjuta National Park (3).
Di nuovo qui. Nel centro dell’Australia. Nel punto esatto dove migliaia e migliaia di anni fa si intrecciarono i sentieri di Kuniya, Liru e Mala (4).
Nel punto esatto dove migliaia e migliaia di anni dopo si consumò una delle più fantasiose fregature che l’emisfero australe ricordi.
Terra aborigena da sempre, Uluru e Kata Tjuta diventarono dal niente proprietà degli ex galeotti che nel 1958, annusando le potenzialità turistiche ed economiche del monolito più grande del mondo, ne fecero un parco nazionale.
Cosa che ovviamente sembrò decisamente inopportuna a chi questa terra l’abitava da sempre e che considerava Uluru e Kata Tjuta qualcosa di più di un paesaggio da cartolina.
Alle proteste che inevitabilmente si sollevarono i bianchi risposero con un capolavoro di astuzia. La terra venne “restituita” ai legittimi “proprietari” a una curiosa condizione: l’obbligo di affitto della stessa all’Australian Nature Conservation Agency, l’ente di gestione dei parchi nazionali australiani, per la bellezza di 99 anni.
Il governo salvò la faccia e si guadagnò una medaglia di generosità e clemenza da sfoggiare nelle occasioni ufficiali.
E così, mentre mi aggiro tra le rocce sacre cercando di individuare il punto esatto in cui Kuniya e Liru si diedero battaglia, mi sento anch’io un invasore, uno dei tanti turisti frettolosi disposto a barattare una favola millenaria per un’istantanea da appiccicare al muro.
(1) Royal Flying Doctor Service: il servizio di pronto intervento medico, un tempo svolto da piccoli monomotori e ora da elicotteri, che raggiunge i malati nelle zone più remote dell’Australia.
(2) School of the Air: la “scuola dell’aria” che trasmette le lezioni via etere ai bambini che vivono sparsi nei piccoli villaggi dell’outback.
(3) Uluru e Kata Tjuta sono i nomi aborigeni rispettivamente di Ayers Rock e Mt.Olgas.
(4) Alcuni degli esseri ancestrali che secondo gli Anangu, la tribù aborigena che vive in questa zona dell’Australia, diedero vita a Uluru e Kata Tjuta.