La ragazzina che inciampa guardando la luna

ragazzina-inciampa-luna

Aveva da sempre un amore sconfinato per i capitomboli. Mentre gli altri camminavano sicuri aderenti al terreno, lei aveva questo vezzo di piovere dall’alto, così, da un momento all’altro, come se la stazione eretta di colpo le risultasse insufficiente, un inutile intralcio a sollevarsi in alto.
Inciampava nei gradini e nei marciapiedi, sbatteva contro muri, mobili e spigoli, cadeva da in piedi, da seduta e da sdraiata, cadeva da sveglia e da addormentata.
Ogni volta ne usciva ammaccata, piena di squarci, lividi e bernoccoli, ma in qualche modo, grazie al puntuale intervento di un angelo custode stakanovista, rimaneva sempre intatta, un corpo di gomma leggero come una piuma progettato per sopravvivere a ogni disastroso impatto.
Si diceva di lei che fosse terribilmente distratta, creatura precaria fatta di aria, la testa sempre persa tra le nuvole, i piedi incapaci di ancorarsi a terra.

La ragazzina che inciampa guardando la luna, così la chiamavano tutti giù in paese, e anche se loro lo facevano per scherno, a lei sembrava che non potesse esserci nome più bello.

piuma

Un giorno la ragazzina, che oltre a essere distratta era anche piuttosto ambiziosa, decise che di essere semplicemente fortunata ne aveva abbastanza e che era arrivato per lei il momento di assurgere all’ambito rango di miracolata.
Fu così che una notte, per testare del povero angelo custode l’incondizionata fedeltà, si cimentò nella sua impresa più ardua: la caduta libera oltre lo scoglio.

Una sera, mentre camminava con alcuni amici verso il porto, le stelle a migliaia sopra di loro, una palla gigante color del latte appiccicata in mezzo, si fermò di colpo e sollevò lo sguardo in alto.
La luna se ne stava lassù imperiosa, appesa a un filo di polvere di stelle, apparentemente muta ma nient’affatto silenziosa. Mentre lei ascoltava immobile quel fiume di parole che dalle orecchie le scendeva al cuore, sentì qualcuno in lontananza pronunciare il suo nome.
“Ehi ragazzina” dissero gli amici coi sederi spalmati sul muretto, “unisciti a noi!”. Ma lei, incapace di distogliere lo sguardo, scosse decisa la testa: quella notte era troppo bella per godersela da terra.
Così li raggiunse senza proferir parola, ma anziché sedersi assieme a loro, salì sul muretto e con un balzo spiccò il volo per incontrare il vuoto.

Per un istante si librò nel vento come una gazzella, per poi scendere in picchiata dentro un buco che si apriva tra gli scogli, sotto lo sguardo incredulo di chi lascia qualcosa in un posto e lo ritrova in un altro, una chiazza di colore che svanisce dentro il buio, una meteora che si dissolve nella notte.
Fu un volo maestoso, di quelli che non si dimenticano, un salto di tre metri che sembrarono cento.

Qualcuno da lassù chiamò il suo nome senza ricevere risposta: la ragazzina che inciampa guardando la luna questa volta l’ha fatta grossa, pensarono gli amici credendola morta.
E così probabilmente sarebbe stato, se due ali, prontamente avvisate dalla luna, non fossero piombate giù dalle stelle per seguirla dentro il buco e attutirne la discesa. Il solito, povero, esausto angelo stakanovista, costretto ancora una volta a togliere d’impiccio l’incauta creatura che, mannaggia la miseria, gli era toccata in sorte.
Quando infine da in fondo al buio si alzò flebile una voce, si rivelò il miracolo: anche questa volta, in qualche modo, la ragazzina l’aveva scampata.

Nessuno riusciva a spiegarsi come fosse possibile precipitare dentro un buco dalle pareti aguzze come quello senza procurarsi nemmeno un graffio e atterrare su un piede senza sbriciolarsi nemmeno il mignolo. Ma le domande si spensero in fretta qualche minuto dopo, quando, dopo averla recuperata intatta da sotto il canale, fu adagiata con grazia sopra gli scogli e celebrata per essere ancora viva facendo girare una canna.
Dopo che i sacri effluvi ebbero compiuto il loro dovere, la portarono a spalla su per tre rampe di scale e poi l’adagiarono sul letto, dove la ragazzina restò accucciata per tutta la notte scossa dai brividi della febbre alta e tormentata dal dubbio insistente che forse, stavolta, aveva fatto una cazzata.

Quando la mattina dopo scese dal letto, lo fece su una gamba sola. Per qualche strano motivo l’idea di appoggiarsi a una stampella le pareva poco elegante, un ulteriore inciampo all’istinto di volare, e così si spostava piano piano saltellando come uno stambecco a cui è rimasta una zampa sola.
Eppure, pur zoppa e dolorante, non riusciva a smettere di sorridere: l’equilibrio precario che da sempre la rendeva instabile, fonte di vergogna e dileggio senza fine, trovava per la prima volta una giustificazione del tutto plausibile.

Nelle settimane successive spuntarono i primi germogli di un’inaspettata rivelazione. Mentre il corpo claudicava, la mente della ragazzina sperimentava un’imprevista lucidità. Modalità che fino a quel momento aveva percepito come tratti caratteriali scolpiti nella pietra, appendici di un corpo inconsapevole impossibili da debellare, adesso le apparivano indizi precisi di un insegnamento da integrare.

Finché un giorno anche l’ultimo dubbio non sparì dalla sua mente. Non era la distrazione, né tantomeno la luna, a farla inciampare, ma la terra che, con l’ausilio di buchi e spigoli, continuava a chiamarla a sé. Essere non solo di aria ma anche di terra, le sussurrava instancabile all’orecchio, creatura nata per volare ma che per farlo deve prima imparare a restare.

E fu così che la ragazzina si trovò a ripensare a tutte le volte in cui era caduta da quando era venuta al mondo, a quel vizio che aveva di volare dai davanzali per atterrare di testa sui balconi, di cadere dal letto, di rotolare giù da divani e seggioloni.

Le tornarono in mente tutti i momenti in cui aveva perso l’equilibrio e, nell’intento di ritrovarlo, si era messa in viaggio, tutti quegli anni errabondi in giro per il mondo in cerca di un’identità sfuggente, la fuga dalle radici e dal fardello di una normalità opprimente, la ricerca costante di qualcosa di nuovo al solo scopo di non vedere. La difficoltà di andare a fondo, di provare a risolvere, di mettersi in gioco.
Tutte le avvisaglie che l’universo le aveva inviato negli anni e che lei aveva sistematicamente ignorato, la necessità impellente di rendere il messaggio ancora più chiaro attraverso l’ennesimo incidente, perché si sa, con certe creature particolarmente testone le carezze non servono a niente.

L’inciampo che diventa richiamo, la caduta che si trasforma in salto.
La gamba che si infortuna per interrompere lo schema e costringerla a stare ferma.
La ragazzina che inciampa guardando la luna per ricongiungersi alla terra.

3 commenti

  1. Barbara Pagliarani

    Meraviglioso l’incanto di un’Anima che sa già volare ma che deve imparare a camminare. Dalla terra sotto ai nostri piedi spuntano i fiori più belli, sarebbe un peccato perderseli.

    Un abbraccio,
    Barbara

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.